Il terapeuta energetico - 10 di 17 - Parliamo di... - Mariano Robino

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Il terapeuta energetico - 10 di 17

Pubblicato da Mariano Robino in Trattamenti energetici · 15/7/2010 09:53:58

Riprendo il discorso interrotto ben sapendo che, anche se ho più volte ricordato che il paziente deve fare la sua parte, molto probabilmente ho lasciato qualcuno perplesso quando nella precedente uscita ho affermato che nessuno (quindi neanche il terapeuta) può energeticamente fare la parte di un altro, perché ognuno è energeticamente responsabile di se stesso e può e deve guarirsi con le sue forze.

. . . E l’energia allora cosa fa? . . . A cosa serve? . . . E soprattutto, dopo tutto questo gran parlare, il terapeuta . . .?

Domande più che legittime!

La ragione di questa "incombenza" per il paziente risiede nell’assoluta necessità della costante e volontaria partecipazione del "sofferente" all’azione terapeutica.

Non è che l’energia non abbia la capacità di "guarirlo" indipendentemente dal suo contributo, tant’è che per poco che sia l’apporto volontario dell’essere umano non ci sono problemi, è l’energia a colmare la differenza aggiungendo quanto necessario per superare l’ostacolo.

Il punto è che quest’energia non impone nulla, neppure una guarigione, e rispetta il libero arbitrio di ognuno, anche quello che supera questa "fisicità". La potremmo visualizzare come una scala di corda calata in un pozzo affinché chi sta la sotto possa uscirne: se non ha la forza di salire i gradini lo si può anche tirar su di peso, ma se quel tale, pur potendolo fare, non vuol neppure toccare la scala? Ancora la potremmo vedere come la ciambella di salvataggio gettata ad un naufrago per aiutarlo ed issarlo poi a bordo dell’imbarcazione, ma se quel tale volontariamente si allontana dalla ciambella?

L’energia può anche comportarsi come un bagnino e stordire con un pugno colui che sta annegando onde trarlo in salvo, ma non è possibile ingannarla: se l’intenzione di costui è quella di annegarsi l’intervento si limita a spiegargli l’insensatezza di tale decisione e proporgli una via d’uscita, se poi costui non vuol saperne, il suo libero arbitrio viene rispettato.

L’azione dell’energia può essere paragonata a quella di un vero padre od una vera madre nei confronti del figlio/a: si prende cura di colui verso il quale il terapeuta la canalizza (nei precedenti esempi è il terapeuta che cala la scala di corda, che getta la ciambella di salvataggio) con la stessa partecipazione ed impegno di un genitore, ma a differenza dei genitori umani non cerca di imporsi: per rendere più chiaramente l’idea posso portare come esempio la parabola del figliol prodigo (Luca 15, 11-32) dove il padre (energia) sa accettare la volontà di andarsene del figlio (paziente), ma sa anche riaccoglierlo. Infatti, anche se uno viene per un trattamento e non fa la sua parte, non ci sono problemi; qualora tornasse con la volontà di fare quanto va fatto non ci sarebbero remore né limitazione alcuna nell’impegno che è proprio dell’energia; come ho spiegato il tutto sta nel totale rispetto da parte dell’energia della volontà di ogni singolo, che proprio per questa ragione è tenuto a decidere ed in prima persona ad impegnarsi volontariamente, quanto manca gli verrà dato, l’importante è che sia lui a voler perseguire il "cambiamento".

A questo punto m’è d’obbligo "spendere due parole" sull’importanza che riveste il nucleo familiare nell’intervento terapeutico energetico, che tiene contemporaneamente presenti le dimensioni fisica, psicologica, sociale, familiare, spirituale,trascendente (ecco un altro motivo per cui ritengo sarebbe utile offrire queste terapie in strutture sanitarie, onde poter avere la collaborazione di altre figure professionali ed insieme curare in modo olistico, cioè completo: non un mosaico di interventi scollegati , ma un’opera d’arte; nessuno, infatti, può essere adeguatamente preparato in tutti i campi.).

È necessario tener presente che chi si sente sopraffatto da una situazione che lo priva della precedente personale padronanza e libertà (per molto tempo gli son state riconosciute determinate caratteristiche, ora pian piano il proprio ruolo sociale cambia: si sente più debole, più fragile, conseguentemente più indeciso, meno pronto al confronto, ecc.; cosicché si presenta anche il problema della diminuzione dell’autostima, con altre ricadute) teme anche di perdere la stima degli altri e di divenire oggetto di osservazioni, critiche ed anche possibile derisione.

In questa situazione è molto facile sentirsi più soli (sovente s’arriva, per timore del giudizio altrui, ad evitare il contatto con le persone precedentemente frequentate); fatto grave, perché per gli esseri umani il bisogno di non sentirsi soli è uno dei bisogni più importanti, anche se spesso dimenticato.

A seconda della gravità della situazione, segue la tristezza causata dalla constatazione del proprio declino, che porta alla modificazione negativa della propria immagine, dei ruoli familiari e sociali. All’interno del nucleo familiare questa tristezza si riflette su tutti i componenti e colui che ne è la causa si sente ancor più triste nel vedere i propri familiari addolorati: un senso di colpa.

A tutto ciò in alcuni casi può subentrare la depressione: non si ha più energia sufficiente per affrontare tutti i problemi che quotidianamente si presentano e questa difficoltà da vita ad una pericolosa spirale discendente. Si può aggiungere la rassegnazione ed il senso di impotenza porta a "cedere le armi" ripiegandosi sconsolati e sfiduciati su se stessi, apatici verso la stessa propria vita, in alcuni casi invece desiderosi di porle fine; ma questo è un settore della psicologia e/o della psichiatria a seconda dei casi, tocca ad altri presentare e spiegare degnamente l’argomento al quale io ho solo accennato..

Penso sia importante far ora presente che tutto il percorso della vita di ciascuno di noi può anche essere visto come un processo ad alto gradiente emotivo, che attraversa diversi stadi, moltissimi passaggi, intervallati da speranze e delusioni.

I familiari, che vivono e condividono con costui che soffre momenti di stanchezza e/o di scoraggiamento, sono a loro volta sottoposti ad uno sforzo che può anche essere non indifferente; da questa situazione possono prendere vita conflittualità dovute anche al riemergere di precedenti conflitti, ecc.; logicamente vanno considerati nel processo terapeutico e si dovrebbe (difficile tradurre oggi ciò in realtà vista la diffidenza, a volte giustificata, verso questi trattamenti) poter dedicare un po’ di tempo anche a loro: vanno sostenuti, incoraggiati, spronati affinché possano superare la fase di scoraggiamento e pessimismo; perché il calore ed il sostegno dell’ambiente familiare, potenziato dalla serenità e dalla fiducia in un epilogo comunque positivo, è uno strumento terapeutico insostituibile.

Avendo esaurito lo spazio a disposizione della singola uscita mi fermo e terminerò questa precisazione nella prossima; porgo quindi cordiali saluti a tutti.

Robino Mariano


© Robino Mariano



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