Menu principale:
Vi avevo lasciato evidenziando il fatto che i familiari, vivendo e condividendo momenti di stanchezza e/o di scoraggiamento, sono a loro volta sottoposti ad uno sforzo che, a seconda dell’individuale sensibilità e profondità dell’affetto che li lega, può essere non indifferente ed a volte difficilmente sostenibile; necessariamente vanno considerati nel processo terapeutico, anzi si dovrebbe poter dedicare loro un po’ di tempo, anche perché hanno bisogno di spiegazioni su questo "curare in modo sconosciuto", inoltre vanno sostenuti, incoraggiati, spronati affinché possano superare la fase di pessimismo e scoraggiamento che possono aver vissuto; questo anche perché per il paziente il calore ed il sostegno dell’ambiente familiare, potenziato dalla serenità e dalla fiducia in un epilogo comunque positivo (il soggetto ne uscirà comunque maturato e migliorato), è uno strumento terapeutico insostituibile.
Quanto evidenziato sarebbe ottimo a mio avviso, anche se oggi è difficile tradurlo in realtà vista la diffidenza, a volte giustificata, verso questi trattamenti; per poter arrivare a ciò queste terapie non andrebbero "demonizzate" o "svalutate"; anzi, si dovrebbe guardare ad esse come ad una nuova opportunità ed anche chi si occupa professionalmente della salute altrui potrebbe guardare a questo terapeuta energetico come ad un "operatore sanitario" differentemente preparato per un lavoro diverso dal loro in altri settori di quel "tutto poliedrico" che è la situazione di disagio e malattia; per salvaguardare i più deboli, poi, sarebbe necessario venissero eseguite anche in pubbliche strutture, ove chi ha altri fini potrebbe venire facilmente smascherato ed ove chi ha avuto "brutte esperienze" capirebbe la differenza che c’è tra un vero terapeuta energetico e chi non lo è.
Compito del terapeuta energetico è anche saper insegnare (per quanto riguarda la sua vita anche col personale esempio, giacché non ha valore il "predicare bene, ma razzolare male": l’energia non si nasconde ed è sempre onesta, ugualmente DEVE comportarsi il terapeuta) in modo chiaro che la sofferenza, quando arriva, non diminuisce la personale dignità, ma affrontata, anche validamente sostenuti se necessario, permette l’aumento della comprensione della vita e di se stessi, nonché la capacità di "amare": è un’occasione di crescita consapevole da imparare a sfruttare guardandone anche i lati positivi oltre quelli negativi . . . c’è forse qualcuno in grado di dimostrare senza ombra di dubbio che non esistono altri aspetti di questa vita che è in noi (che sfuggono ai nostri sensi ed ai mezzi attualmente a disposizione) e che magari sono ancora più importanti di quelli conosciuti? . . . ciascuno si faccia un esame di coscienza e si dia una risposta onesta.
Non vado oltre; l’aspetto "spirituale" di questa terapia è degno d’un apposito ed adeguato articolo; sarà una mia futura incombenza, ma adesso è tempo di proseguire nell’odierno argomento.
Come ho già evidenziato la terapia energetica non si limita ad una riabilitazione, ma è un intervento che permette al paziente non solo di fare quanto faceva prima, ma di farlo meglio e di fare ancora più di quanto prima gli fosse possibile: gli permette di raggiungere una crescita in consapevolezza e "potenza vitale", che gli consente anche una maggiore comprensione del significato di ciò che fa, quindi vi saranno cose che anche potendo non farà più ed altre che prima anche potendo non faceva ed ora è consapevole che per il suo stesso bene vanno fatte.
Per aiutare a visualizzare l’intervento, si può pensare al lavoro del terapeuta con l’energia ed immerso nell’energia come a quello di un fisioterapista che lavora in piscina: l’acqua può dare un’idea di una parte del lavoro che fa l’energia.
Quando un corpo è immerso in acqua, viene sottoposto all’azione della pressione idrostatica ed a quella della resistenza idrodinamica:
compressione: sulla parte immersa la pressione è uguale al peso della colonna di liquido situata al di sopra;
galleggiamento: spinta dal basso verso l’alto uguale al peso del volume di liquido spostato;
resistenza: quando un oggetto si muove in un fluido è soggetto ad effetti di resistenza direttamente proporzionali alla densità del liquido e
turbolenza: quando si muove al di sopra di una certa velocità.
Facendo immergere una persona in acqua sino all’ombelico il peso del corpo grava sui piedi al 50% circa del totale, se poi s’immerge sino alle spalle non dovrà sostenere neppur più il 20% del totale; ecco quindi che potranno essere eseguiti esercizi riabilitativi altrimenti impossibili, inoltre l’effetto "calza elastica" (spiegato dalla legge di Stevin sulla compressione esercitata dai liquidi), più marcato sulle parti molli come cosce ed addome, facilita il passaggio di liquidi corporei dagli spazi interstiziali al torrente circolatorio, aiutando la circolazione di ritorno venoso al cuore, cui conseguono altri benefici effetti.
La pressione idrostatica, inoltre, stimola i recettori cutanei, cosicché chi si trova immerso percepisce il movimento del proprio corpo e dei propri arti anche attraverso informazioni sensoriali esterocettive, avendo quindi maggiore consapevolezza di ciò che sta facendo e di come lo sta facendo: oltre alla semplice corporeità vengono inglobate le sfere cognitiva e sensoriale.
A tutto ciò s’aggiunge il percepire in modo assai ridotto le sensazioni dolorose ed un rilassamento altrimenti difficilmente raggiungibile, cui segue un’anticipazione del percorso verso l’autonomia:
diventano infatti più forti le spinte motivazionali grazie alla maggiore libertà di movimento determinata dalla sicurezza che s’avverte in questo ambiente microgravitazionale;
si riesce ad abbandonare la normale prudenza che si avrebbe in palestra, cosicché diviene possibile mettere in atto schemi funzionali senza il freno di protezioni inconsce e di risparmio articolare dovuti alla paura di farsi male.
Da tutto ciò non può che conseguirne una serie di gratificazioni anticipate e sempre molto bene accolte: ci si rende conto che si potrà davvero tornare a fare ciò che prima era solo una speranza.
Sempre in acqua l’uso di galleggianti anche piccoli permette di riabilitare pure in ambito neurologico, ad esempio in pazienti con emiparesi facendogli percepire durante lo spostamento movimenti passivi indotti dal galleggiamento, che stimolano un percorso di feedback sensitivo: l’azione della spinta idrostatica sui segmenti corporei stimola nell’immediato il paziente a livello tridimensionale ed a parer mio in seguito anche a livello quadrimensionale, giacché anche lo scorrere del tempo diviene informazione e le afferenze di origine propriocettiva, barocettiva, sensoriale e temporale penso si possa ipotizzare diano luogo all’attivazione di nuovi canali informazionali (sull’esempio di anastomosi funzionalmente chiuse, che si aprono in caso di necessità), le cui informazioni possono così essere acquisite ed elaborate dal paziente.
Con la prossima uscita amplierò gli esempi visualizzabili.
Cordiali saluti a tutti.
Robino Mariano
© Robino Mariano